Arrivo al Piccolo Teatro Orazio Costa in una sera di pioggia. Suono infreddolita il campanello e quando la porta si apre c'è lui, Domenico Galasso, il padrone di casa con il suo sorriso simpatico.
E il luogo rispecchia il suo ideatore: accogliente e attento a ogni dettaglio. Le luci soffuse poi contribuiscono a creare una calda atmosfera ed è così che l'ennesima monotona giornata vissuta in questa dannata pandemia trova sollievo.
Forse un po' sono di parte, perché a me i teatri piacciono un po' tutti, sempre.
Infatti penso che sia il posto in cui non può succedere nulla di brutto. E se dovesse accadere... niente paura, è per finta!
Il Piccolo Teatro Orazio Costa ti colpisce subito appena entri, perché è pulito, in ordine e tutto ha un suo posto o altrimenti a breve lo troverà.
Tra i tanti oggetti una foto cattura la mia attenzione. Una di quelle un po' ingiallite, scritte da chissà chi, dimenticate in chissà quale cassetto. Ci sono tanti nomi oggi famosi e tra quesi c'è Galasso. La foto rappresenta un momento di un esercizio, forse uno spettacolo, un frammento di vita dell'ultimo gruppo di allievi di Orazio Costa all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica Silvio d'Amico di Roma.
Insegnante e scuola oggi entrati nel mito.
Quando è nato questo teatro?
Il 6 agosto 2011 fondai l'associazione perché quell'anno ricorrevano i 100 anni dalla nascita di Orazio Costa, il mio Maestro. E anche questo spazio, che esiste da due anni, è dedicato a lui per quella che Andrea Camilleri - anch'egli allievo del Maestro e mio Maestro a sua volta - definì in me vera e propria devozione per Costa. A distanza di anni lo confermo ancora: Andrea aveva proprio ragione!
Cosa c'era prima in questo spazio?
Per 70 anni qui c'è stato un forno con il negozio che si affacciava sulla strada e il laboratorio dietro. Quando lo vidi, vuoto, subito me ne innamorai.
Come lo hai allestito?
Volevo che fosse uno spazio versatile, da modulare a seconda delle situazioni e delle esigenze.
L'ho pensato innanzitutto come luogo di formazione e produzione.
La principale attività del Teatro è l'esercizio delle relazioni, anche tra generazioni.
E questo è tuttora un posto in fieri.
Per esempio, ci sono tante foto e vorrei appenderle nei camerini. Perché le immagini di ciò che è stato scatenano anche processi inattesi e sono mezzi attraverso cui le generazioni entrano in comunicazione tra loro al di là della condivisione del sapere, quando i giovani allievi scoprono negli occhi degli allievi di allora la loro stessa scintilla.
Oltre alle foto qui ci sono tanti oggetti di scena, oggetti pieni di valore e carichi di storia teatrale. Ma ci sono anche libri, enciclopedie, taccuini.
Come hai scelto gli oggetti e l'arredo da inserire.
Sì, ci sono molti oggetti.
Condivido il pensiero di Gustav Mahler: “Tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”. È lo stesso discorso delle fotografie. Gli oggetti in Teatro non sono mai soltanto ciò che sono, ma diventano simboli, cioè costruzione di legami.
Tutto ciò che c'è qui, nel foyer, è prodromico allo spazio vero e proprio. La sala con il palcoscenico è il cuore di tutto, perché è in quel luogo che si studia, sempre, è in quel luogo che ci si tiene in esercizio ed è in quello stesso spazio che avviene l’incontro col pubblico, per uno spettacolo o per una lettura, è lo stesso.
Consideriamo qui, anzi, la lettura ad alta voce, in effetti, come teatro puro, un luogo dove andiamo a vedere le parole. Non parliamo di teatro di parola ma di teatro della parola.
Un teatro in sé è una scatola vuota: da una parte ci sono gli spettatori che vengono perché ti vogliono credere e dall'altra ci sei tu che lavori per magnificare il percorso che, attraverso le parole dell'autore, rivivificate nell’esperienza del tuo corpo, sai ricreare.
Sul palcoscenico finalmente ha luogo il rito: attraverso i corpi degli attori, con la complicità attiva degli spettatori avviene questo corto circuito meraviglioso per cui hic et nunc, tutti, attori e spettatori, sono qui e adesso, certo, e tuttavia altrove e in un altro tempo, concordemente, avverbio che contiene cuori, ritmo, respiro, condivisione.
Non possiamo non considerare che abbiamo dei corpi che comunicano nonostante noi.
Durante uno spettacolo i corpi di tutti, attori e pubblico, partecipano e respirano all'unisono. In quel momento sulla scena l'attore è l’elemento di accordo. Se seguiamo infatti l'etimologia latina del verbo accordare, scopriamo che anch’esso ha nella sua radice i cuori, che per accordarsi, devono sentirsi.
Tutto ciò, in questo tempo fuori dai cardini, in questo tempo di distanziamento fisico forzato, ci manca terribilmente.
Ti ha aiutato qualcuno ad allestire questo spazio?
Questo è uno dei problemi: tu credi di fare un servizio alla comunità...
Bè non è che lo ritieni... tu lo fai!
Sì, ti ringrazio! Ma istituzioni e amministrazioni non ne riconoscono, purtroppo, né l'importanza né la dignità. È una questione millenaria, certo, ma, restando al tempo presente rispetto agli altri Paesi europei, in Italia, ti assicuro la cosa è davvero grave.
E la dimostrazione ennesima è nella mancanza di considerazione dimostrata da istituzioni nazionali e locali, che determina lo stato di abbandono e sofferenza in cui il comparto della cultura in generale - e dello spettacolo dal vivo in particolare - tuttora permane.
Quindi la risposta è no, non sono stato aiutato da nessuno e non ho ricevuto nessun finanziamento. Come possiamo dirci fieri di un Paese in cui le istituzioni dimostrano una tale incapacità di vedere, e una così pervicace mancanza di rispetto per la dignità del nostro lavoro?
Di cosa sei fiero?
Di ciò che con coscienza proponiamo ai nostri allievi come percorso. Per esempio, siamo probabilmente i primi in Italia, e forse, ancora gli unici, ad avere un logopedista tra i nostri docenti. Anche questo è un antico suggerimento di Orazio Costa. Una scuola di teatro dovrebbe mettere in grado gli allievi di conoscere anche l’anatomia e la fisiologia dell'apparato fonatorio, per una migliore cura e per un più cosciente uso della voce. I nostri docenti, inoltre, sono tutti professionisti di chiara formazione. Tutto ciò ci fa sentire di contribuire, un poco alla volta, alla pur faticosa costruzione, passo dopo passo, della dignità di questa professione.
Poi il discorso si sposta su Dante e la lettura dei suoi versi, sull'università e il lavoro a scuola.
Quando esco non piove più e tornando verso la macchina mi scopro a pensare che in questa dannata pandemia posso vedere tanti film in tv, fare scuola da casa, leggere libri, ma alla fine mi mancano i luoghi e le relazioni. Parlare dal vivo, vedere di persona. Come dice Domenico, anche io non posso sorvolare sul fatto che ho un corpo che comunica, nonostante me.
di E. M. in Interviste e Teatro a scuola
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