Pennac non è uno studioso di pedagogia, ma è stato un insegnante e, ciò che è più importante, un pessimo studente. Quindi ha le carte in regola per poter parlare di scuola.
E lo fa in Diario di scuola, pubblicato in Italia nel 2010 da Feltrinelli, un diario delle sue personali esperienze e delle sue riflessioni. Vediamone qualcuna:
1. Pennac sa che è inutile sbandierare ai propri alunni l’idea di futuro.
Per esempio non ha senso dire frasi del tipo:
“devi costruirti un bagaglio di conoscenze per quando sarai grande”, oppure
“...ma come pensi di affrontare l’anno prossimo il Liceo?”
“In che modo pensi di presentarti all’esame?”
I ragazzi hanno una diversa concezione del tempo rispetto agli adulti. Per gli insegnanti il lavoro da svolgere nei tre anni delle scuole medie è chiaro. Per l’allievo
“ognuno di quegli anni vale un millennio; per lui il futuro sta tutto nei pochi giorni a venire”.
2. Bisogna parlare agli studenti la materia che insegnano. E qui Pennac è quasi filosofico. Lo scrittore sostiene che tutti i ragazzi sono fatti di discorsi di narrativa e di grammatica. Infatti quando parlano usano già le strutture grammaticali solo che non lo sanno. Anche i più taciturni, i più schivi e quelli meno attrezzati sono fatti di letteratura e di poesia. E allora la paura di grammatica si cura con la grammatica, la paura della lettura con la lettura e così via.
3. Anche i docenti odiano a volte stare in classe. Ma è necessario essere qui ed ora. La presenza degli allievi dipende da quella degli insegnanti. Possiamo leggere:
“Dal mio essere presente all’intera classe e a ogni individuo in particolare, dalla mia presenza alla mia materia, dalla mia presenza fisica, intellettuale e mentale dipende l'apprendimento”.
4. Pennac analizza le risposte assurde dei giovani.
Quando poniamo una domanda a un nostro studente, egli ha di fronte a sé tre tipi di risposta:
giusta, sbagliata o assurda.
I ragazzi rispondono in modo assurdo perché non hanno riflettuto e non hanno attivato quella che può essere chiamata la ruminazione riflessiva.
Sono al contrario entrati nella logica della scuola, per la quale “non si risponde alla domanda posta, ma al fatto che gli venga posta”. E’ un modo per il ragazzo per dire "anche io esisto" e di inserirsi in una logica scolastica che lo preferisce parlante anziché pensante.
5. L’autore francese fa un interessante collegamento tra l’essere studente e l'essere consumatore.
Gli adolescenti di oggi sono l’obiettivo delle aziende a tal punto che vengono percepiti, corteggiati e sedotti proprio come clienti.
C’è, quindi, una grande differenza tra l’alunno di ieri e quello di oggi. Il ragazzo di tanti anni fa andava a scuola con i vestiti che erano stati dei fratelli, il ragazzo di oggi è invece sempre alla moda. Ecco in questo discorso c'entra anche il sistema scolastico, perché si trova a fare i conti con dei ragazzi che passano il tempo a soddisfare i propri bisogni e a percepirli come assolute necessità.
Lo studente che va male a scuola non ha mai la sensazione di essere ignorante.
“A un certo punto il sapere della scuola non lo vuole più, non lo interessa più.
La sua ignoranza la scambia per la sua natura più profonda.
Non è uno studente in matematica, ma un negato in matematica”.
Può addirittura ritenere che lui sa un sacco di altre cose rispetto a quello che pretende di insegnargli il docente. Elabora il lutto e rivolge i suoi interessi verso altri orizzonti. A quei studenti ci dobbiamo rivolgere. E’ necessario intercettare il loro sguardo, indirizzare i loro interessi. Uno studente con basso profitto è una preda per il consumismo e per altri mondi ancora.
6. E arriviamo al cuore del libro.
Quali sono le caratteristiche del bravo docente?
Esse sono tre.
La prima: avere passione.
La seconda: non mollare mai.
Pennac ci dà l’immagine di una mano che ripesca l’affogato: è l'immagine dell'insegnante che tira verso l’alto l’allievo che annaspa.
“L’immagine di vita di una mano che afferra saldamente il colletto della giacca è la prima che mi viene in mente quando penso a loro.
In presenza dei miei allievi nascevo a me stesso.”
E infine ultima, ma più importante, caratteristica: avere stile.
Il bravo insegnante è un artista nella trasmissione del suo sapere,
“un sapere talmente ben padroneggiato che diventa creazione”.
Insegnando il bravo docente crea un evento basato su un momento unico e irripetibile.
Cosa aspettiamo allora?
Mettiamoci all'opera per aiutare i giovani e cercare il nostro stile!
di E. M. in AreaDocenti